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Il contesto da cui partire

C’è qualcosa di tragicomico nell’idea di cambiare software gestionale in azienda: un po’ come pensare di sostituire il motore di una nave in pieno oceano.

La posta in gioco è alta, il rischio concreto, il potenziale straordinario.

Eppure, troppe aziende si tuffano in questo processo con la leggerezza di chi cambia carta da parati. Forse perché si illudono che basti aggiornare il sistema per aggiornare l’organizzazione. Ma non è così:

il gestionale non salva l’azienda, la rende semplicemente più efficiente. O più vulnerabile. Dipende da come lo si implementa.

Cambiare un ERP, un CRM, un SCM o anche solo il sito web aziendale non è semplicemente un aggiornamento tecnico: si tratta di un cambiamento culturale, organizzativo e strategico che coinvolge l’intera struttura aziendale. Non è qualcosa da prendere alla leggera, perché le implicazioni vanno ben oltre l’installazione di un nuovo software.

Eppure, i numeri parlano chiaro: circa due terzi dei progetti IT falliscono, lasciando dietro di sé costi, frustrazione e opportunità mancate.

Di fronte a questi dati, sorge spontanea una domanda: ha senso intraprendere un percorso così complesso e rischioso?

La risposta è affermativa, ma con una condizione imprescindibile:

occorre sapere con precisione cosa si sta facendo, quali sono le ragioni profonde del cambiamento e quale approccio è più adatto alla propria realtà. Solo una piena consapevolezza iniziale può trasformare il rischio in un’opportunità di crescita.

Errori comuni nel cambiare software gestionale

La tentazione di aggiornare il software aziendale può arrivare da mille stimoli: la concorrenza che sembra più evoluta, l’interfaccia grafica che sa di vintage, la moda del momento, la paura di restare indietro. Ma cambiare software per queste ragioni è come cambiare casa perché il vicino ha cambiato il divano.

Il primo errore è pensare che il gestionale risolva i problemi organizzativi. Se i processi aziendali sono confusi, se le responsabilità non sono chiare, se le persone lavorano in modo disallineato, nessun software porterà ordine nel caos. Anzi, un gestionale nuovo può amplificare il disordine esistente. Il rischio è quello di costruire un castello tecnologico su fondamenta di sabbia.

Anche l’estetica può trarre in inganno. Un software che “sembra vecchio” non è necessariamente inefficace. L’apparenza è secondaria rispetto alla funzione. E quando si prende una decisione basata su sensazioni, si imbocca una strada lastricata di costi, stress e insoddisfazione. Cambiare per cambiare, senza una reale motivazione, è la strada più veloce verso il fallimento di progetto.

Quando cambiare gestionale diventa una necessità strategica

Ci sono invece condizioni in cui il cambiamento del gestionale non solo ha senso, ma diventa imprescindibile.

La più rilevante è la crescita dell’azienda.

Quando le dimensioni aumentano, quando entrano nuove funzioni, quando il team si espande, i vecchi strumenti possono diventare colli di bottiglia.

Un software non aggiornabile, non integrabile, che rallenta l’operatività e compromette la sicurezza aziendale, non è solo inefficiente: è pericoloso.

Le minacce digitali crescono ogni giorno e usare sistemi obsoleti equivale a lasciare la porta aperta a qualunque tipo di attacco.

Anche l’incompatibilità con nuove modalità operative – pensiamo allo smart working, alla gestione automatizzata dei magazzini, all’integrazione con tool esterni – può giustificare il cambiamento.

In sintesi: se il gestionale frena l’azienda anziché supportarla, è il momento di agire.

L’illusione del software perfetto

Un altro pericolo è la convinzione che esista il software perfetto, quello in grado di soddisfare ogni singola esigenza. Ma non esiste. Nemmeno i software sviluppati su misura riescono a centrare tutte le aspettative, perché la perfezione è un miraggio mutevole.

Qui entra in gioco un aspetto delicato: il bilanciamento tra software standard e software custom. Spesso si tende a pensare che la propria azienda sia speciale, unica, diversa da tutte le altre. Ma in molti casi, è l’ego a parlare più che l’analisi razionale. Acquistare un gestionale standard può essere sufficiente, se i processi sono lineari e non troppo sofisticati. Viceversa, inseguire la personalizzazione estrema può tradursi in un incubo gestionale, con costi e tempi fuori controllo.

D’altro canto, puntare solo al risparmio – scegliendo la soluzione più economica a scaffale – può comportare costi nascosti. Non tanto per il canone mensile, quanto per l’adattamento forzato dell’organizzazione a uno strumento rigido.

La vera domanda, quindi, è:  l’azienda che si deve adattare al software o viceversa?

La fase critica: l’implementazione

La scelta del gestionale è solo l’inizio.

Il vero banco di prova è l’implementazione. Qui entrano in gioco dinamiche umane, psicologiche, relazionali. Il nuovo strumento deve essere accettato, compreso, utilizzato con efficacia. E tutto questo dipende dalle persone.

Sottovalutare la formazione è un errore gravissimo. Le persone non possono essere lasciate sole davanti a un’interfaccia nuova. Il supporto continuo, la capacità di rispondere ai dubbi, l’affiancamento operativo sono gli elementi che fanno la differenza tra adozione e rigetto.

E poi c’è la grande domanda: lavorare in parallelo o fare uno switch diretto?

Entrambe le soluzioni hanno pro e contro. Il lavoro in parallelo garantisce più sicurezza, consente confronti, riduce il rischio di stop operativi. Ma ha un costo elevato e aumenta la complessità.

Lo switch diretto, invece, è più rapido ed economico. Ma è un salto nel vuoto. Se qualcosa va storto, le conseguenze possono essere gravi. Inoltre, il team potrebbe reagire con resistenza, paura, ostilità.

La scelta migliore? Dipende dalla realtà specifica. Ogni azienda è un caso a sé.

I tre pilastri del cambiamento

Il cambiamento del gestionale è un percorso in tre atti: pre-implementazione, implementazione, post-implementazione.

Ignorarne anche solo uno è il modo più sicuro per finire nella lista dei progetti falliti.

La fase di pre-implementazione è quella della consapevolezza.

Serve a capire cosa davvero serve all’azienda. Non cosa vuole. C’è una bella differenza.

Significa analizzare i flussi di lavoro, confrontarsi con i reparti, osservare le criticità, definire i requisiti reali.

Solo dopo si può scegliere lo strumento più adatto.

La fase di implementazione è quella della verità.

Il gestionale entra in scena. Va configurato, testato, alimentato con i dati, comunicato al team, reso vivo nel quotidiano.

Ogni errore in questa fase si paga caro. Ogni dimenticanza torna come un boomerang.

Infine, la fase di post-implementazione.

Quella più ignorata. Si pensa che installato il software, il gioco sia fatto. Ma è solo l’inizio. Occorre monitorare, correggere, adattare.

Le prime settimane sono cruciali. Le lamentele non sono fastidi: sono indicatori preziosi.

I problemi non sono anomalie: sono normalità in un ecosistema nuovo.

Costi nascosti del gestionale: il vero prezzo da pagare

Molti pensano che il costo maggiore di un gestionale sia il prezzo del software. Sbagliato.

Il vero costo è quello legato alla non adozione: ore perse, rallentamenti, errori, stress. E poi c’è il costo emotivo: la frustrazione di chi non capisce, la rabbia di chi non viene ascoltato, il disincanto di chi aveva creduto nel progetto.

Per questo serve accompagnare le persone. Serve creare un terreno fertile per il cambiamento. Serve leadership. Non quella che comanda, ma quella che guida, ascolta, prepara.

Cambiare gestionale è un atto di responsabilità organizzativa. E come ogni atto di responsabilità, richiede visione, ascolto, metodo.

Il bivio finale: tra rischio e opportunità

Cambiare gestionale è un bivio. Può essere la svolta che libera il potenziale dell’azienda o l’ennesimo progetto naufragato tra le scartoffie. Il segreto non è nel software, ma nell’approccio. Nell’onestà iniziale, nella precisione progettuale, nella cura delle persone.

Chi pensa di cambiare gestionale con un clic si prepara al fallimento. Chi lo fa con consapevolezza, ascolto e metodo ha una buona probabilità di trasformare ogni euro speso in sette. Ma solo a patto di ricordare che non è il gestionale a cambiare l’azienda: sono le persone che, usandolo bene, possono farlo.

Federico Gagliarde

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