Un messaggio, un solo semplice messaggio…eppure quante volte, in azienda, pur con le migliori intenzioni, una comunicazione si trasforma in un boomerang?
Troppo spesso finiamo per costruire muri con le parole invece che ponti. Ci affidiamo all’istinto, al “ti chiamo che faccio prima” (tu, forse, fai prima 🙂 ), o al contrario sommergiamo l’altro con una mail di tre pagine sperando che, per osmosi, il messaggio arrivi.
Comunicare bene non è un atto naturale in azienda, è un’arte progettuale.
La comunicazione aziendale non è una questione di buone intenzioni
Non basta voler comunicare, non basta nemmeno parlare o scrivere correttamente. La comunicazione efficace è un flusso, un ritmo, una progettazione.
In azienda, dove ogni parola può avere effetti a catena su relazioni, decisioni e produttività, la sua gestione richiede metodo.
Quando collaboriamo con altri, cadiamo spesso in una trappola: pensiamo che se l’altro non capisce, è perché non vuole capire…e così scivoliamo in dinamiche tossiche: ci impuntiamo, interrompiamo, alziamo il volume invece di cambiare tono… peggio ancora, confondiamo il nostro bisogno di essere capiti con il diritto di interrompere gli altri.
In tutto questo, la comunicazione perde il suo potere trasformativo e diventa una guerra di logoramento.
Costruisce muri e non ponti.
Perché comunicare bene in azienda cambia tutto
Non è un “vezzo”, una buona comunicazione riduce errori, migliora la collaborazione, accorcia i tempi decisionali.
Non è “teoria”: quante volte vi è capitato di dire “gliel’avevo detto”? ma qualcosa non ha funzionato? Non basta dire, è necessario farsi comprendere…e per farlo serve scegliere il momento, il tono, il canale.
[Perché, ricordo: la comunicazione è fatta da 2 entità, emittente e ricevente.]
Un team che comunica bene ha un clima più sano, più fiducia, più energia. I conflitti diminuiscono, le decisioni si prendono più in fretta, le persone si sentono coinvolte e valorizzate. Non solo: un buon flusso comunicativo aiuta a gestire il cambiamento e a innovare.
Sincrona o asincrona? La scelta non è neutra
C’è comunicazione e comunicazione, parlarsi in tempo reale è molto diverso dallo scriversi. La comunicazione sincrona è quella delle call, delle riunioni, delle telefonate, avviene nello stesso tempo e spesso nello stesso spazio. Ha il pregio dell’immediatezza, della voce, del confronto, della prossemica.
La comunicazione asincrona invece è quella delle mail, dei messaggi, dei vocali. Viaggia nel tempo: chi scrive e chi legge non sono allineati. Questo comporta vantaggi (tempo per riflettere, minor pressione) e svantaggi (possibile ambiguità, attesa, mancanza di contesto).
Scegliere se usare l’una o l’altra non è una formalità: è una scelta strategica. Usare una riunione per qualcosa che si poteva risolvere con una mail significa sprecare tempo. Mandare un’email quando serviva un confronto diretto, significa perdere chiarezza e forse creare tensione.
Come scegliere la modalità di comunicazione giusta
Il suggerimento banale è: fermiamoci un attimo prima di inviare quel messaggio o fissare quella call. Serve davvero parlarne ora? Oppure posso scrivere? Devo avere un feedback immediato? Serve documentazione? L’argomento è delicato? Riguarda solo me o anche l’altro? E soprattutto: quanto vale il tempo dell’altro?
Ogni volta che decidiamo di fare una call solo per chiarire le nostre idee, stiamo spostando il costo di questa elaborazione su qualcun altro. Non è efficienza, è solo una diversa distribuzione del tempo.
Conosci la “doppietta” comunicativa?
Un classico: mando una mail, e dopo cinque minuti scrivo su WhatsApp “ti ho mandato una mail”. Questo comportamento è deleterio (internos la chiamiamo “doppietta”), rompe il patto implicito della comunicazione asincrona, che si basa sulla fiducia: fiducia che l’altro leggerà e risponderà con i suoi tempi. Altrimenti che senso ha?
Queste continue interruzioni riducono la produttività, generano ansia, frammentano l’attenzione e fanno sì che un canale smetta di essere utile. Se in una chat aziendale troviamo meme, notifiche di caffè e messaggi urgenti, il cervello non distingue più cosa conta e si abbassa il livello di attenzione aumentando i fraintendimenti.
L’importanza del tono: quando la mail non basta
C’è un paradosso sottile nella comunicazione asincrona: leggiamo un messaggio con il nostro tono, non con quello di chi scrive. Se siamo stanchi, nervosi o distratti, rischiamo di attribuire al messaggio un’intenzione che non c’è.
Chi scrive deve tenerne conto, non conosce lo stato d’animo del lettore, né dove sarà o con quale dispositivo leggerà. Tutto questo non è un “problema dell’altro”.
La comunicazione asincrona richiede quindi un’attenzione ancora maggiore alla forma, ai vocaboli, alla sintassi. Non ci si può affidare alla gestualità o alla voce. Tutto è sulla parola scritta.
E quando questo non basta? Quando il messaggio è complesso, emotivamente carico, cruciale? Allora è giusto scegliere il sincrono, perché solo nel faccia a faccia possiamo cogliere espressioni, sfumature, silenzi. Pensate alla differenza tra ricevere una PEC di licenziamento e parlarne con una persona, entrambe le modalità sono lecite ma è chiaro che l’effetto è diverso.
Il canale cambia il messaggio
Un messaggio scritto e uno detto non sono la stessa cosa. Non solo per i contenuti, ma per l’effetto che generano, per il tipo di attenzione che richiedono, per le aspettative che creano. Quando scegliamo il canale, stiamo anche dando un peso a ciò che vogliamo comunicare. Stiamo disegnando il perimetro relazionale di quella comunicazione.
Scrivere una mail è un atto progettuale , organizza il pensiero, lascia traccia, consente riletture…di contro perde in immediatezza, emozione, empatia. Parlare di persona è diretto, coinvolgente, ma anche più rischioso: una parola sbagliata non si cancella, un’espressione equivoca si amplifica.
La comunicazione come atto di progettazione
Comunicare non è solo dire. È progettare un’esperienza, creare uno spazio di comprensione. Significa riflettere non solo su cosa voglio dire, ma su a chi, come, quando e perché. È la differenza tra esprimere un’idea e farsi comprendere davvero.
Ecco perché vi invito a un piccolo esercizio: la prossima volta che vi viene spontaneo convocare una riunione, provate a scrivere una mail. E quando pensate che basti una mail, provate invece a parlarne a voce. È un gioco di inversione. Ma vi accorgerete subito che il canale cambia la forma del messaggio, cambia la vostra predisposizione e cambia l’effetto su chi riceve.
In azienda, la comunicazione non è un dettaglio operativo. È un progetto strategico. È la linfa che nutre relazioni, decisioni, innovazione. Ed è anche una responsabilità: quella di non pensare che basti parlare per capirsi, ma di costruire ogni giorno le condizioni perché questo accada.
Comunicare bene non è una questione di stile.
È una questione di rispetto e di visione





