Parlare di e-commerce nel 2025 potrebbe sembrare anacronistico. In un’epoca in cui intelligenza artificiale, automazioni e consegne via drone sono diventate normalità, fermarsi a riflettere sull’e-commerce pare quasi fuori tempo. Eppure, proprio per questo, è il momento giusto per farlo. Perché oggi non ha più senso pensare all’e-commerce come una semplice vetrina digitale, una piattaforma su cui vendere ma ha senso solo se lo consideriamo per ciò che può davvero essere: un cambio di paradigma.
Infatti, l’errore più comune è pensare che l’e-commerce sia solo Amazon, un luogo dove si clicca, si paga, si riceve. Si, senz’altro questa è la definizione più scolastica del termine ma, mi permetto di dire, anche la più miope. Ridurre l’e-commerce alla mera transazione significa limitarne il potenziale.
L’e-commerce non è solo vendere online, è ripensare il proprio modello di vendita. È supportare e potenziare l’organizzazione commerciale, non sostituirla.
Commerciali vs e-commerce: ai ai ai che dolor
Chi lavora in un’azienda strutturata lo sa: l’e-commerce spesso viene percepito come un nemico dai commerciali. I venditori lavorano su provvigione, hanno relazioni consolidate sul territorio, si muovono in dinamiche che mal si conciliano con un sistema che vende “da solo”, online, senza mediazione.
Ma è davvero così? Se pensiamo all’e-commerce come un’altra modalità di vendita, allora può diventare un alleato del commerciale, non un antagonista. Può raccogliere contatti, stimolare conversazioni, fornire dati utili per pianificare azioni sul campo ma serve un patto, un cambio di mentalità. Serve un’azienda che voglia davvero integrare, non sostituire.
Esistono molti tipi di e-commerce
Non esiste un solo modello: E-commerce aperti, alla Amazon, visibili a tutti. E-commerce chiusi, accessibili solo tramite credenziali, portali B2B con listini personalizzati, configuratori online che generano richieste di preventivo, portali per l’ufficio acquisti che permettono di riordinare prodotti già acquistati, annotando usi e destinazioni.
Tutti questi sono, in senso lato, strumenti di commercio elettronico. Ognuno con logiche, utenti e obiettivi differenti. Ecco perché pensare l’e-commerce solo come un sito vetrina con carrello è limitante. L’e-commerce non è qualcosa che si adatta passivamente al modello di business: è una dimensione che si fonde, si nutre e si evolve con esso. Un’osmosi strategica in cui l’uno alimenta l’altro, rendendosi reciprocamente più efficace.
La mentalità e-commerce: un cambio di paradigma
Un caso concreto: un cliente con un e-commerce attivo, vendite discrete, ma una percentuale di resi altissima. Il motivo? Il magazzino non era strutturato e abituato a “sbancalare” (togliere dai bancali) e imballare per spedire a singoli clienti. Risultato: pacchi mal imballati, prodotti danneggiati.
Aumentare le vendite in quella situazione? Un suicidio aziendale. Prima bisognava cambiare mentalità, ripensare la logistica, adattare i processi… formare il personale.
L’e-commerce è questo: un progetto che impatta tutta l’azienda. Non è solo il reparto marketing, non è solo l’IT… è logistica, è customer care, è ufficio acquisti, è il team commerciale…serve una regia., serve visione.
E-commerce come relazione, non solo conversione
L’idea che l’e-commerce sia solo un luogo dove “si compra” è vecchia. Oggi un sito e-commerce è prima di tutto un punto di contatto, un touchpoint. Un luogo dove il cliente si informa, valuta, confronta, lascia tracce…e quelle tracce sono preziose, sono domande, interessi, comportamenti.
Se sappiamo leggerli, possiamo trasformarli in occasioni.
Il commerciale può usare quei dati per finalizzare vendite. Il marketing può usarli per creare contenuti utili. L’azienda può usarli per ottimizzare i processi. Ma serve ascolto. Serve visione.
Infatti, fare e-commerce non è per tutti
Può sembrare una provocazione, soprattutto da chi gli e-commerce li crea e li ottimizza ma è così. Se non si è pronti a cambiare, meglio non iniziare. Se non si ha una cultura del dato, dell’ascolto, dell’ottimizzazione, meglio non aprire un e-commerce, non perché non funzioni ma perché amplificherà i problemi esistenti.
Fare e-commerce vuol dire avere margini chiari, conoscere i propri prodotti, capire le dinamiche logistiche, avere consapevolezza del proprio pricing…se queste basi non ci sono, l’e-commerce sarà solo un acceleratore di caos.
L’e-commerce respira: trattiamolo come una parte viva dell’azienda
Un e-commerce lasciato lì, trascurato, è come un parente scomodo al pranzo di Natale, c’è, ma si spera che parli il meno possibile invece, un e-commerce ben integrato è un organismo vivo: respira, produce dati, apre conversazioni, crea opportunità. Ma, come una persona, solo se lo ascoltiamo, se lo nutriamo, se ci assumiamo le responsabilità che ne derivano.
È questo il vero punto: l’e-commerce non è uno strumento: è una mentalità.
Una forma di cultura aziendale e come ogni cultura, richiede tempo, dedizione, ascolto.
In fondo, la domanda non è “faccio o non faccio l’e-commerce?”. Ma piuttosto: sono pronto ad ascoltare, imparare, cambiare? Se la risposta è sì, allora puoi cominciare.





