Viviamo sommersi da contenuti. Ogni giorno veniamo investiti da parole, immagini, video, newsletter, caroselli, pubblicità, call to action e claim altisonanti. Eppure, tra tutto questo rumore, solo pochi messaggi riescono davvero a toccarci, a farci fermare, riflettere e, magari, agire.
La domanda allora non è più “quali contenuti pubblicare?” ma “perché pubblicare proprio quei contenuti, in quel modo e in quel momento?”
Questo è il punto di partenza reale…e anche quello di arrivo. Perché se non riusciamo a rispondere a questa domanda, stiamo solo riempiendo spazi, non stiamo costruendo relazioni, non stiamo parlando davvero con nessuno.
Dalla scelta dei canali alla scelta del messaggio
Ogni azienda si trova, prima o poi, davanti a una bivio: investire tempo e risorse nella creazione di contenuti oppure lasciar perdere. Ma spesso anche chi decide di investire si trova paralizzato davanti alla domanda: da dove parto? Devo realizzare un video? Rinnovare il sito web? Lavorare ai social? Stampare un depliant? E cosa ci metto dentro?
La vera risposta è ovvia… dipende… ma non da mode o gusti personali, dipende da una sola cosa: dal processo di acquisto del tuo cliente. Il contenuto giusto è quello che agevola un passaggio di questo processo, ogni contenuto, ogni canale, ogni messaggio, ha senso solo se risponde a una fase precisa del percorso che fa il cliente dalla prima volta che sente parlare di te fino a quando decide di fidarsi, acquistare, tornare e magari diventare tuo “ambassador“.
Il processo di acquisto come cornice strategica
Il processo di acquisto non è altro che la somma di tutte le esperienze, i pensieri, i dubbi e le emozioni che una persona vive mentre si avvicina all’acquisto di un prodotto o servizio. È un percorso fatto di tappe e di punti di contatto, i cosiddetti touchpoint (da qui il nome del blog e del podcast).
Alcuni touchpoint sono sotto il nostro controllo diretto (sito web, campagne, email), altri sono indiretti (passaparola, recensioni, articoli di terzi). La domanda cruciale da porsi non è “quali contenuti devo produrre?” ma “in quali touchpoint ha senso esserci e con quale messaggio?“.
Per rispondere a questa domanda è necessario partire dall’analisi del processo di acquisto: quanto è lungo? Quanto è complesso? Quanta fiducia serve? Quanto rischio percepisce il cliente? Quanto è urgente per lui agire? E quanto è coinvolto emotivamente?
I termometri della vendita: capire la difficoltà per orientare i contenuti
Per semplificare, possiamo usare un modello che aiuta a leggere la difficoltà del processo di vendita concepito da Manuel Faè e Alessandro Sportelli chiamato i “termometri della vendita”. Un nome semplice, ma che aiuta subito a capire il punto: quanto è caldo/facile o freddo/difficile il processo di acquisto del mio prodotto servizio?
I fattori che incidono su questo “clima di vendita” sono sei:
- Notorità del brand: sono un marchio conosciuto e affidabile oppure no?
- Fiducia necessaria: quanto deve fidarsi il cliente per acquistare?
- Rischio percepito: se sbaglia, cosa rischia?
- Urgenza: quanto sente impellente il bisogno?
- Coinvolgimento emotivo: quanto è carico di significato/emozionante per lui?
Se vendo un paio di scarpe sportive avrò un certo tipo di processo. Se vendo immobili, ne avrò uno molto più lungo, carico e complesso… ma anche all’interno dello stesso settore ci sono differenze, due aziende che vendono lo stesso prodotto possono avere un “clima” di vendita diverso…e quindi, contenuti diversi da creare.
Contenuti che valorizzano la relazione
Una volta mappato il processo di acquisto e compreso il “clima” della vendita, è più facile capire cosa fare o meglio, cosa comunicare.
Se il problema è la mancanza di notorietà, lavorerò su contenuti che costruiscono autorevolezza. Racconterò chi sono, da dove vengo, cosa penso. Mi farò vedere e sentire, non per narcisismo, ma per costruire fiducia.
Alcuni esempi concreti? Una pagina “Chi siamo” curata e personale sul sito, un video breve in cui racconto la storia dell’azienda, un carosello LinkedIn con il nostro manifesto valoriale, un articolo che spiega la visione che ci guida. Tutti questi contenuti servono a dire: “Ehi, esistiamo e abbiamo qualcosa da dire che vale la pena ascoltare.”
Qui l’obiettivo è “essere memorabili”.
Se serve aumentare la fiducia, darò spazio a recensioni, casi studio, testimonianze. Mostrerò il volto dei miei clienti soddisfatti, farò parlare loro, non me.
Se il nodo è il rischio percepito, creerò contenuti che abbassano questa soglia: garanzie, politiche di reso, assicurazioni, formule “soddisfatti o rimborsati”.
Se manca urgenza, lavorerò sul tempo: magari non spingerò con finti countdown, ma racconterò perché ha senso agire oggi, non domani e se so che il tempo è lungo, produrrò contenuti che accompagnano questo tempo, che nutrono, che educano.
Se manca coinvolgimento emotivo, dovrò attivarlo. Lavorerò sul senso, sul “perché” profondo dell’acquisto. Racconterò storie, emozioni, aspirazioni. Perché nessuno compra solo un prodotto. Compra un pezzo di identità, uno stato d’animo, una prospettiva.
Ogni contenuto è una relazione, non un esercizio stilistico
C’è un punto che spesso dimentichiamo: i contenuti sono strumenti di relazione, non di autocelebrazione. Non pubblichiamo per sentirci bravi, belli, o originali. Pubblichiamo per colmare una distanza.
La distanza tra chi siamo e come siamo percepiti. La distanza tra il nostro valore e la fiducia che ci viene accordata. La distanza tra l’esigenza del cliente e la nostra offerta.
Se il contenuto non accorcia nessuna di queste distanze, è tempo e denaro buttati.
Ecco perché non esiste un contenuto giusto in assoluto. Esiste il contenuto giusto in relazione a un obiettivo specifico. Esiste il contenuto adatto in base al punto in cui si trova il cliente. Esiste il contenuto utile rispetto alla relazione che voglio attivare.
Fare ordine prima di fare rumore
Il rischio più grande oggi è quello di produrre contenuti per inerzia. Perché ce li chiede il calendario editoriale. Perché la concorrenza posta ogni giorno. Perché se non pubblichiamo, scompariamo.
Ma prima di buttare parole nel web, facciamo un passo indietro. Chi voglio raggiungere? Di cosa ha bisogno in questo momento? Cosa posso dirgli che gli sia davvero utile? Se non ho risposte chiare a queste domande, è meglio restare in silenzio e concentrarci ancor più sull’ascolto.
Solo dopo aver fatto ordine posso pensare di fare rumore… ma sarà un rumore che risuona, che tocca che costruisce… perché avrà un senso e un destinatario.
In sostanza ogni contenuto che produciamo è una scelta… e ogni scelta racconta un pezzo di noi, un pezzo della relazione che vogliamo costruire, non è un esercizio creativo, è un atto strategico.
Quando vi chiedete che contenuto creare, chiedetevi prima: che tipo di relazione voglio attivare? Voglio rassicurare? Ispirare? Dimostrare competenza? Rendermi visibile? Educare?
E da lì, lasciate che i contenuti siano la vostra bussola. Perché è solo quando abbiamo chiaro dove vogliamo arrivare che possiamo scegliere la strada giusta…e il “mezzo” giusto.
Se riusciremo a fare questo, allora ogni parola pubblicata sarà un ponte, non un cartellone pubblicitario.





