C’è qualcosa di profondamente umano nell’evitare ciò che ci mette in pericolo. Proprio come ignoriamo una nuvola all’orizzonte sperando che cambi direzione, molte aziende fingono che l’incertezza non esista, finché non si ritrovano sotto un temporale senza riparo. Eppure, è proprio in quei momenti che si misura la differenza tra chi rincorre le emergenze e chi le anticipa. Perché il rischio, se compreso ed affrontato, può diventare uno dei più potenti alleati strategici.
Rischio e Pericolo: distinguere le due facce della medaglia
Iniziamo col mettere ordine tra due termini spesso interpretati come sinonimi, ma in realtà molto diversi: rischio e pericolo.
Il pericolo è qualcosa di intrinseco, una caratteristica di un oggetto, di un evento o di una situazione che ha il potenziale oggettivo di causare un danno. È una qualità innata, una realtà che esiste indipendentemente dalla nostra percezione, dalle nostre azioni o dalla nostra volontà di ignorarla. Immaginate, per un istante, un coltello affilato: la sua capacità di tagliare è un pericolo intrinseco. Non possiamo eliminare questa qualità… è parte della sua stessa natura, del suo DNA funzionale. La gravità del danno potenziale può variare, ma la sua essenza pericolosa rimane.
Il rischio, d’altra parte, è la probabilità che un pericolo si verifichi, causando effettivamente un danno, unito alla gravità di tale danno. È una misura della possibilità che l’evento negativo si concretizzi. Se il coltello viene utilizzato da uno chef esperto, con anni di pratica e le dovute precauzioni di sicurezza, la probabilità che si tagli è statisticamente bassa, quasi irrisoria. Se, invece, lo stesso coltello è in mano ad un bambino inesperto che lo maneggia senza supervisione, il rischio di tagliarsi aumenta drasticamente, diventando quasi una certezza.
L’arte dell’Identificazione dei rischi
Se l’obiettivo è diminuire i rischi, la prima e più importante azione è quella di individuare e riconoscere la loro presenza. Non si tratta di lasciarsi prendere dalla paranoia, stilando elenchi infiniti di ogni singola eventualità negativa immaginabile, ma di affinare la nostra percezione e individuare i rischi più pertinenti e rilevanti per la nostra specifica realtà aziendale.
I rischi, si sa, sono esseri di vari tipi: possono variare in ogni fase e reparto di un’azienda, come camaleonti che cambiano colore a seconda dell’ambiente in cui si trovano. Possiamo trovarci di fronte ad un’ampia gamma di rischi:
- Rischi finanziari: Questi sono i mostri che si annidano nella liquidità, negli investimenti azzardati o non calcolati e nelle imprevedibili fluttuazioni del mercato.
- Rischi di reputazione: Un danno all’immagine aziendale può essere più devastante di una perdita economica immediata. È la macchia sull’abito che difficilmente va via del tutto.
- Rischi di credito: Questi riguardano le difficoltà o l’incapacità dei clienti di far fronte ai propri debiti, creando buchi nel bilancio e rallentando il flusso di cassa.
- Rischi strategici: Sono le decisioni sbagliate, le rotte imprecise, che compromettono la direzione e la crescita aziendale nel lungo periodo. Sono le scelte che, a posteriori, ci fanno dire: “Se solo avessimo preso l’altra strada…”.
- Rischi operativi: Questi sono legati alle interruzioni delle attività quotidiane a causa di malfunzionamenti tecnici, errori umani, problemi di logistica o guasti improvvisi.
- Rischi di mercato: I cambiamenti nelle preferenze dei clienti, l’ingresso in campo di nuovi competitor o l’emergere di nuove tecnologie che rendono obsolete le nostre offerte.
L’identificazione di questi rischi è un processo strutturato che può avvenire attraverso vari metodi. L’analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats) è uno di quei classici strumenti che permette di esaminare i fattori interni (forze e debolezze) ed esterni (opportunità e minacce) che possono influenzare l’azienda. È come una fotografia istantanea che evidenzia potenziali rischi e aree su cui agire.
Valutare e quantificare usando la bussola
Una volta identificati, i rischi devono essere valutati. Questa fase implica una doppia analisi, un bilanciamento tra due fattori cruciali: la probabilità che un evento rischioso si verifichi e l’impatto che esso avrebbe sull’azienda qualora si concretizzasse.
La probabilità può essere stimata in modo qualitativo, utilizzando scale intuitive come “alta, media, bassa”, oppure, quando la natura del rischio e la disponibilità di dati lo consentono, in modo quantitativo, con percentuali o frequenze.
L’impatto, invece, riguarda le conseguenze dirette e indirette che l’evento avrebbe sull’organizzazione: danni economici tangibili, compromissione della reputazione, interruzioni operative che bloccano la catena produttiva, implicazioni legali che generano costi e sanzioni o anche perdite di risorse umane.
Prendiamo come esempio il rischio di un attacco informatico, un fantasma sempre più presente e rilevante nel mondo digitale, che si aggira nelle nostre infrastrutture in maniera silenziosa. La probabilità che un’azienda subisca un attacco varia enormemente a seconda della sua complessità e del suo livello di esposizione.
Un singolo freelance che opera con pochi dispositivi e una connessione internet di base avrà una probabilità più bassa rispetto ad una grande azienda con migliaia di dipendenti che si connettono da diverse postazioni (ufficio, casa in smart working, mobile in viaggio) e con molteplici dispositivi, tra laptop, smartphone e tablet. Ogni punto di accesso aggiuntivo, ogni dispositivo non protetto o ogni connessione non sicura aumenta le vulnerabilità in modo esponenziale.
È un po’ come avere cento porte invece di una sola: più porte ci sono, più è difficile sorvegliarle tutte.
Questa duplice valutazione di probabilità e impatto ci conduce ad una matrice dove possiamo mettere su un asse la probabilità (da bassa ad alta) e sull’altro l’impatto (da lieve a grave). Le aree risultanti ci mostrano dove dedicare le nostre risorse e i nostri investimenti. Un rischio con alta probabilità e alto impatto richiede attenzione immediata e risorse significative. Un rischio con bassa probabilità e basso impatto può essere accettato con maggiore serenità.
| Impatto Lieve | Impatto Moderato | Impatto Grave | |
| Probabilità Alta | Monitorare | Ridurre | Agire Subito |
| Probabilità Media | Accettare | Valutare Strategia | Mitigare |
| Probabilità Bassa | Trascurabile | Monitorare | Valutare |
Come navigare l’incertezza
Una volta che i rischi sono stati identificati e valutati, non possiamo limitarci a guardarli, come se fossero nuvole minacciose all’orizzonte. È il momento di agire, di scegliere la rotta più adatta per la nostra nave. La gestione dei rischi offre un ventaglio di quattro strategie principali: evitare, ridurre, trasferire, accettare. La scelta di quale strategia adottare dipende dalla valutazione incrociata di probabilità e impatto, ma anche dalla tolleranza al rischio intrinseca alla nostra azienda e dalla disponibilità delle risorse economiche e umane. Non esiste una soluzione universale, ma una scelta consapevole e mirata.
- Evitare il rischio
Questa strategia è la più radicale e implica l’eliminazione dell’attività che genera il rischio. Se un’azienda svolge diverse attività e una di queste la espone a un rischio eccessivo pur non essendo economicamente il core business, si può decidere di interromperla. - Ridurre il rischio
Questa è forse la strategia più comune e intuitiva, una sorta di “costruzione di mura” attorno alla nostra fortezza aziendale. Consiste nell’attuare misure preventive e correttive mirate a diminuire la probabilità che l’evento negativo accada o a mitigarne l’impatto nel caso si verificasse. - Trasferire il rischio
Quando un’azienda non vuole o non può gestire un rischio internamente, può decidere di trasferirlo a terzi. Gli esempi più comuni sono l’outsourcing di determinate funzioni (ad esempio la gestione IT, il marketing o il servizio clienti), che permette di affidare a specialisti esterni la responsabilità e la gestione dei rischi correlati a quelle specifiche attività. - Accettare il rischio
Questa strategia, spesso sottovalutata o percepita come una mancanza di azione, è in realtà un atto di consapevolezza strategica. È applicabile quando il rischio è stato identificato, la sua probabilità e il suo impatto sono stati attentamente valutati, e si decide che i costi per evitarlo, ridurlo o trasferirlo sarebbero superiori ai benefici che ne deriverebbero, o semplicemente non proporzionati alla minaccia. Accettare un rischio non significa ignorarlo, ma esserne pienamente consapevoli, comprenderne le implicazioni e prepararsi mentalmente a gestirne le conseguenze qualora si presentasse.
Il rischio come opportunità
La gestione del rischio, se approcciata con la giusta mentalità, può trasformarsi in un potente motore di opportunità e innovazione.
Pensiamo all’avvento di una nuova tecnologia. Se un’azienda non è preparata ad adottarla, a integrarla nei propri processi e a sfruttarne il potenziale, questa può diventare una spada di Damocle. Ed è proprio per questo che nascono e si evolvono i reparti di ricerca e sviluppo (R&D) in ogni azienda lungimirante: il loro scopo non è solo inventare, ma anche diminuire il rischio che una nuova tecnologia venga adottata prima dai concorrenti, o che la propria azienda si trovi impreparata di fronte a un cambiamento epocale del mercato.
Trasformare il rischio in opportunità concrete richiede un cambio profondo di prospettiva, una sorta di alchimia mentale.
L’esempio di Netflix è sulla bocca di tutti, eppure vale la pena rispolverarlo per la sua straordinaria esemplarità. Netflix, all’inizio, faceva noleggio di DVD per corrispondenza. Sì, avete capito bene: ordinavi online e ti arrivava per posta un DVD per guardare un film. Chi lo penserebbe mai oggi, nell’era dello streaming on-demand? Eppure, da lì, ne è passata di acqua sotto i ponti. C’è stato qualcuno, all’interno di quella che era una piccola startup, capace di individuare i pericoli di un mercato legato al formato fisico (la logistica, i ritardi, l’usura dei supporti, la pirateria emergente del download) e poi di trasformarli in grosse, gigantesche opportunità, investendo sullo streaming quando ancora internet non era così diffuso.
Ed è proprio qui che casca l’asino. Perché molte PMI non hanno una vera e propria cultura del rischio. Anzi, il rischio viene spesso percepito come una seccatura, qualcosa da rimandare. La motivazione è tanto umana quanto problematica: è difficile impegnarsi oggi per prevenire qualcosa che forse succederà tra dieci anni.
E poi c’è l’altro ostacolo, forse il più subdolo: il digitale viene ancora visto come qualcosa di evanescente. Una “nuvola” che sta altrove. E invece è reale, tangibile, cruciale. I dati aziendali, oggi, sono più preziosi dell’inventario di magazzino, eppure non sempre sono protetti con la stessa attenzione.
Comprare l’ombrello prima che piova
Ci fa fatica e ci richiede un impegno notevole affrontare questi argomenti sul piano personale, figuriamoci nell’argomento aziendale…
Non si può comprare l’ombrello solamente quando piove, ma bisogna comprarlo prima, quando il cielo è ancora sereno o al massimo qualche nuvola all’orizzonte ci suggerisce la possibilità di un temporale. Bisogna lavorare sui pericoli e sui rischi prima che essi si presentino con tutta la loro forza devastante.
Anche perché, ignorare i pericoli e i rischi non li farà certo scomparire o non accadere. Questo è un dato di fatto ineluttabile. È un po’ come la famosa legge di Murphy:
Se qualcosa può andar male, è probabile che lo farà.
Più il periodo si allunga, più è probabile che qualcosa di negativo accada, ma anche qualcosa di positivo, certo.
Per quanto possa accadere di positivo, dovremmo essere pronti ad accoglierlo, a capitalizzarlo, a cavalcare l’onda dell’opportunità. E per quanto possa accadere di negativo, dovremmo essere preparati a gestirne le conseguenze, a limitare i danni, a imparare dalla lezione. La vera differenza tra un’azienda resiliente e una che soccombe è la capacità di previsione e di reazione.
In definitiva, la domanda è chiara e risuona come un monito: vale la pena gestire le conseguenze di un pericolo quando si è già manifestato, oppure è meglio gestire il possibile rischio investendo in prevenzione e preparazione?
A voi la scelta. Posso comprare l’ombrello prima che piova, oppure posso decidere di bagnarmi, cambiare vestiti e magari portare un asciugamano sempre in macchina, vivendo nell’ansia del prossimo temporale. La prima opzione, sebbene richieda uno sforzo iniziale, garantisce una navigazione più sicura e un futuro più promettente. La seconda, un’esistenza reattiva, dove si è sempre in affanno, a inseguire i problemi invece di anticiparli.
La vostra azienda merita una strategia, non una semplice reazione.





