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Quando il tempo è solo un armadio da riempire

C’è chi dice che il tempo sia denaro. Altri lo considerano un’illusione. Più di duemila anni fa, un certo Seneca sosteneva che non ne abbiamo poco: semplicemente, ne sprechiamo tanto. E in azienda, questa spreco è spesso il più costoso degli errori invisibili. Perché il tempo, lì dentro, è più di un orologio che ticchetta: è l’infrastruttura invisibile che sostiene ogni processo, ogni progetto, ogni decisione.

Mi piace pensare al tempo come a un armadio. Quando è vuoto, sentiamo l’urgenza di riempirlo con ogni tipo di abito – task, call, riunioni, mail. E quando è pieno? Compriamo un altro armadio. Senza nemmeno fermarci a svuotare, riorganizzare, dare un senso a ciò che già c’è. Così, nella fretta di sembrare produttivi, smarriamo la lucidità che ci serve davvero per fare impresa.

Prima di tutto, vale la pena fare un passo ulteriore nella riflessione: e se il problema non fosse quanto tempo abbiamo, ma come scegliamo di abitarlo?

Il tempo non è un contenitore: è un ambiente

C’è una differenza sostanziale tra pianificare e riempire. Tra agire e inseguire. Il tempo non è uno spazio da saturare, ma un ambiente da coltivare. Un ecosistema nel quale far nascere decisioni, relazioni, visioni. Per questo non parleremo di tecniche di time management, né di metodologie da manuale. Parleremo di mentalità. Di un modo diverso di abitare il tempo aziendale.

Fare spazio – nella propria agenda, nella propria testa – è un atto imprenditoriale sofisticato. È lì che si genera quella forma rara di pensiero che non può essere delegata. Le grandi idee non nascono nei corridoi della produttività forzata. Emergono sotto la doccia, in macchina, in quei momenti in cui il cervello ha smesso di essere occupato e ha iniziato finalmente a funzionare.

Quando sei stato più brillante?

Chiediti: quando ti è venuta l’intuizione migliore? Durante una riunione con 17 partecipanti e 0 decisioni? O mentre facevi una passeggiata, libero da notifiche e interruzioni? Se sei un manager o un imprenditore, il tuo vero lavoro non è produrre, ma prendere buone decisioni. E per decidere bene serve tempo, quello vuoto, quello vero, quello senza stimoli.

Più spazio mentale = più lucidità = migliori decisioni. È una formula semplice, ma controintuitiva per chi è abituato a misurare tutto in ore lavorate. Eppure, proprio i leader più efficaci dedicano una parte consistente del loro tempo alla lettura, al pensiero, al silenzio. Perché il vero lusso, oggi, non è lavorare 14 ore al giorno. È potersi fermare per pensare bene.

La legge di Parkinson e il tempo che si dilata

Nel 1955 lo storico navale Cyril Parkinson scrisse che “il lavoro si espande fino a occupare tutto il tempo disponibile“. Una legge semplice quanto spietata. Se ho tre ore per scrivere un report, lo farò in tre ore. Se ne ho sei, lo farò – guarda caso – in sei. Con più interruzioni, più distrazioni, meno lucidità.

Questo meccanismo si intreccia con le strutture organizzative tradizionali. In molte aziende, chi finisce prima un lavoro non viene premiato con tempo per sé, ma con un altro incarico. Risultato? Si lavora al rallentatore. Oppure si corre a vuoto, per dimostrare di essere sempre impegnati. Come un criceto sulla ruota.

Obiettivi chiari, non agende piene

In questo senso, può essere utile approfondire il tema dell’organizzazione e dell’efficacia nel lavoro leggendo perché lavorare per obiettivi è utile, dove analizzo come un cambio di paradigma nella gestione del tempo e delle responsabilità possa migliorare i risultati di tutto il team.

Questa riflessione ci porta naturalmente a una domanda tanto semplice quanto rivoluzionaria: e se invece di riempire ciecamente l’agenda provassimo a cambiare approccio? Lavorare per obiettivi, non per scadenze o orari prestabiliti. Obiettivi SMART, specifici e raggiungibili, ma anche misurabili in termini di output, non solo di ore impiegate. Questo approccio richiede più consapevolezza, più fiducia, più comunicazione. È solo così che si può cominciare a governare il tempo in azienda in modo strategico e non subirlo passivamente.

E qui entra in gioco un altro aspetto fondamentale: il ritmo. Ogni organizzazione ha il proprio ritmo, ogni persona ha il proprio passo. Il bravo leader non impone una maratona a chi è fatto per lo sprint, e viceversa. Sa dosare gli sforzi, scegliere il tempo giusto per ogni fase, per ogni persona, per ogni progetto.

Correre bene, non solo correre tanto

E in questo correre, non bisogna mai dimenticare dove si generano davvero i profitti e dove, invece, si celano le perdite. Un tema che ho affrontato nel dettaglio qui, cercando di ricostruire il legame tra gestione del tempo e capacità strategica di un’azienda.

Essere occupati non è sinonimo di essere efficaci. Correre non significa andare nella direzione giusta. Eppure in azienda abbondano i criceti: sempre di corsa, sempre affannati, sempre con la testa china sul prossimo task. Ma se non alzi mai lo sguardo, come fai a sapere dove stai andando?

Il vero leader, ogni tanto, scende dalla ruota. Guarda la direzione. Ascolta il proprio team. Rivede il percorso. Perché il ritmo giusto non si impone, si coltiva. Come una melodia condivisa, fatta di spazi, respiri, pause.

Il tempo non si trova: si protegge

La vera sfida, oggi, non è trovare il tempo. È proteggerlo. Difendere momenti di silenzio e riflessione come si difende un bene prezioso. Lasciare spazio tra un task e l’altro. Respirare tra una riunione e la successiva. Non riempire ogni angolo di produttività ansiosa.

Provate a inserire due ore bianche in agenda, la prossima settimana. Nessun task, nessuna call. Solo spazio. All’inizio vi sembrerà strano. Ma è proprio quel disagio il segnale che siete sulla strada giusta.

E toglietevi dalla testa – e dal vocabolario – la frase “è tardi, è tardi, è tardi”. Non siamo il Bianconiglio di Alice. Siamo imprenditori, leader, pensatori. E pensare richiede tempo. Tempo vero.

Essere custodi del ritmo aziendale

Come manager, come imprenditori, abbiamo una responsabilità sottile ma cruciale: essere custodi del ritmo aziendale. Non solo dell’operatività, ma della qualità del tempo vissuto in azienda. Se corriamo sempre, anche gli altri correranno. Se respiriamo, insegneremo a farlo. Se proteggiamo il tempo, costruiremo ambienti migliori.

Perché il tempo, alla fine, non è un contenitore da riempire. È un ecosistema da abitare. Un luogo dove accadono cose che non avevamo previsto. E proprio lì, in quei vuoti che abbiamo il coraggio di lasciare, nasce il futuro delle nostre aziende.

Federico Gagliarde

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